Gabriele Micalizzi, fotoreporter nato a Milano nel 1984, e nel 2008 tra i fondatori del collettivo Cesura, da oltre un decennio copre il Medio Oriente per le maggiori testate internazionali. Da alcune settimane racconta la guerra tra Russia e Ucraina dal Donbass: il 18 marzo lo abbiamo raggiunto al telefono per raccogliere alcune considerazioni sul suo lavoro.
Dove si trova e da quanto tempo?
Ora sono in Crimea perché oggi è l’anniversario dell’annessione alla Russia e Putin ha parlato alla popolazione all’interno di uno stadio. Insieme al giornalista con cui sto lavorando abbiamo voluto coprire questo evento. In queste ultime settimane però ho sempre tenuto Donetsk come base. Sono partito da Milano il 17 febbraio e sono andato a Mosca, poi a Rostov e da lì ho preso la macchina e sono arrivato nel Donbass il 18, qualche giorno prima che scoppiasse la guerra. Avevo capito che se doveva succedere qualcosa, per forza sarebbe partito da lì.
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Perché ha deciso di rimanere nel Donbass invece che spostarsi in città cruciali come Kiev o Mariupol?
Per due motivi. Nel 2014 qui, a Slov”jans’k, è stato ucciso Andy Rocchelli, mio collega all’interno del collettivo Cesura, a causa di un colpo di mortaio esploso dall’esercito ucraino. Nel processo noi di Cesura siamo parte civile e per questo io sono nella blacklist del Governo. Ho più difficoltà ad andare in quelle zone. Il secondo motivo è che questa guerra si potrebbe dividere idealmente in due parti, una bellica e una di propaganda, per entrambe le fazioni. Per me è davvero importante mostrare la verità anche da questo punto di vista, l’altro lato. Siamo in pochissimi a farlo da qui.
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